Don Milani e i ragazzi della Scuola Barbiana.
“Lettera a una professoressa”
Lorenzo Milani è stato un prete e un maestro. Uomo di grande bontà, ha dedicato la sua vita ad aiutare il prossimo. In particolar modo, si è distinto per il suo impegno civile a sostegno dei poveri e per il suo ruolo di educatore con i ragazzi. A partire dagli anni ’50, fu trasferito a Barbiana, dove si dedicò totalmente alla scuola. Il contesto in cui si trovò Don Lorenzo era un ambiente molto difficile, i cui giovani vivevano situazioni complicate in famiglia ed erano segnati da una povertà che avrebbe loro sbarrato la strada ovunque. La scuola che propose a quegli studenti e gli insegnamenti che diede loro furono molto severi, ma fornirono delle ottime basi per affrontare la vita. Lì scrisse con i suoi ragazzi, il libro che ha dato una sferzata alla scuola italiana.
“Lettera a una professoressa” nasce nella fase finale della vita di Don Milani. Viene infatti pubblicata nel 1967, pochi mesi prima della sua morte. Autore dell’opera non è tanto Don Milani, ma piuttosto gli otto ragazzi che vi si dedicarono con passione.
Scopo del libro è quello di protestare contro un sistema scolastico che non funziona, che privilegia le classi ricche ed ignora i poveri. Un sistema che non ha interesse a insegnare ai giovani, ma che desidera solo ingurgitare tasse.
L’idea della lettera venne da un episodio in particolare. Due ragazzi della Scuola Barbiana si recarono a Firenze per le magistrali. Qui furono umiliati e bocciati. L’episodio spinse Don Lorenzo Milani a scrivere subito una lettera ai professori, colpevoli di aver agito tanto brutalmente. Quello fu l’input che spinse il prete a mettere su carta critiche e consigli per la Scuola italiana.
Tema centrale del testo è la disuguaglianza, condizione che secondo Don Milani è acuita dalla scuola italiana, che innalza i bravi e ricchi lasciandosi alle spalle i meno abbienti e meno studiosi. Egli accusava la scuola, poiché credeva che essa tendesse a bocciare i bambini in difficoltà, invece di aiutarli e sostenerli.
“Lettera a una professoressa” è stata una delle premesse al ’68 italiano e alle sue lotte per il cambiamento del sistema scolastico.
Il bellissimo e commovente libro non deve essere considerato, però, solo come una critica alla scuola, ma anche come una guida, un insieme di consigli rivolti ai genitori su come reagire dinanzi a queste ingiustizie e su come fare a garantire un futuro migliore alle generazioni di studenti.
Sulla parete della scuola di Barbiana c’era scritto grande “I CARE”… “Me ne importa, mi sta a cuore”. E’ il contrario del motto fascista “Me ne frego”.
Celebre è la frase di don Milani: “Non c’è nulla che sia ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali”, affermazione che ci sembra un’idea scontata, tanto ovvia che sembra scandalosa, sovversiva, scomoda e certamente innovativa persino al giorno d’oggi.
L’insegnamento nozionistico e trasmissivo, che don Milani ha perentoriamente rifiutato e criticato, la lezione frontale che punta a riempire le teste degli allievi e lo stacco tra la cattedra e i banchi, vivono ancora in mezzo agli studenti e studentesse.
I giovani invece avvertono sempre più il bisogno di capire la sostanza delle cose, il perché dello studio, il bisogno di confrontarsi in modo costruttivo per crescere e per diventare “teste pensanti” che trovano opportunità di realizzazione e che producono idee. E anche gli educatori possono trarre tanti spunti dal testo di don Milani utili per migliorare il proprio lavoro.
Don Milani si è occupato dei ragazzi di Barbiana del suo tempo immersi nella loro cultura contadina e penalizzati dall’analfabetismo o dal semialfabetismo. Una cultura e una identità ben radicate però le avevano. Le privazioni fisiche e materiali erano forse per loro sostenibili perché non potevano conoscere chi stava meglio di loro se non abbandonando i loro cari luoghi natali.
Gli studenti della scuola del terzo millennio vengono spesso da famiglie divise o da situazioni problematiche di vario tipo, che generano in essi una grandissima fragilità. Si sentono soli e cercano la compagnia degli amici o cadono in esperienze-rifugio che portano a gettare la propria vita con una leggerezza imperdonabile. Quanti giovani si sono lasciati andare verso la droga o l’alcol o ad esperienze estreme!. Anche tutto questo si chiama analfabetismo. Non si tratta dell’incapacità di padroneggiare in modo magistrale la lingua italiana, o di “sapere di latino” o di essere edotti in chissà quali materie e discipline.
E’ piuttosto un caso nuovo: l’ignoranza del cuore e dell’anima, che pian piano diventa una malattia che appesta la mente e che produce insoddisfazione, malessere, egoismo, cattiveria, squilibrio interiore, fino alla perdita di se stessi.
E’ difficile tener presenti le esigenze e i casi di tutti, ma i ragazzi avrebbero bisogno di un’attenzione maggiore alla loro persona, di qualsiasi colore, lingua, cultura possano essere. Non è necessario impostare chissà quali percorsi personalizzati, a volte bastano un sorriso comprensivo, una parola d’incoraggiamento, un suggerimento in più, insomma quel moto d’animo in grado di appassionare con l’idea, anche se sognante, di poter progettare un mondo migliore, che ospiti parole piene: rispetto per la persona, fiducia, onestà, empatia, speranza, futuro. A pensarci bene, basterebbe l’ascolto. Quello che sa rinunciare a parole troppo lontane dalle situazioni contingenti di vita vissuta. Basterebbe fermarsi, accantonando per un attimo il programma o le regole rigide, e ascoltare i giovani: i professori e gli educatori allora saprebbero adottare i modi migliori per raggiungerli, loro si sentirebbero più sereni e lotterebbero per non abbattersi.
L’attualità di don Lorenzo Milani la vedo anche nella problematica dei DSA e degli strumenti compensativi e le misure dispensative..
Gli strumenti dispensativi e compensativi sono misure e strumenti che aiutano l’alunno con DSA a ridurne gli effetti del suo disturbo, predisponendo una modalità di apprendimento più adatta alle sue caratteristiche, senza peraltro facilitargli il compito dal punto di vista cognitivo.
In particolare gli STRUMENTI COMPENSATIVI sono strumenti che permettono di compensare la debolezza funzionale derivante dal disturbo, facilitando l’esecuzione dei compiti automatici (“non intelligenti”) compromessi dal disturbo specifico, proprio come un paio di occhiali permette al miope di leggere ciò che è scritto sulla lavagna. Per esempio, se l’alunno con Disturbi Specifici di Apprendimento non ha memorizzato l’alfabeto, è possibile fargli visionare le lettere che non ricorda con appositi cartelli o tabelle anche quando già la totalità della classe non usa più questo tipo di supporto; con questo accorgimento, l’alunno ha possibilità maggiori di un successivo apprendimento rispetto ad un isolamento conoscitivo. Tale tecnica ovviamente può essere utile con qualsiasi tipo di apprendimento, per esempio: le tabelline, le figure geometriche, i giorni della settimana ecc.
Le MISURE DISPENSATIVE riguardano la dispensa da alcune prestazioni (lettura ad alta voce, prendere appunti…), i tempi personalizzati di realizzazione delle attività, la valutazione (non viene valutata la forma ma solo il contenuto,…), ecc. In questo modo l’alunno riesce nel suo obiettivo, senza sentirsi frustrato e senza far diminuire la sua autostima,
Penso che dobbiamo anche a don Lorenzo e alla sua rivoluzionaria “Lettera ad una professoressa” se questi metodi oggi vengono utilizzati nella scuola ed evitano non solo di non far parti uguali tra disegnali, ma soprattutto di far raggiungere ai disuguali gli stessi obiettivi degli uguali.
Il mondo è bello perché è vario e nessuno più di don Lorenzo Milani ha messo in evidenza l’importanza di questa diversità!
MCD
Tu che sei un attento educatore… cosa ne pensi?
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