Il Passaggio. Cosa fare, cosa dire.
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Per definizione la morte è la cessazione di funzioni biologiche, la fine cioè dell’esistenza di un essere vivente. Si può, quindi, pensare a essa solo in relazione alla vita.
Detto questo, vediamo come è stata descritta o “vissuta” l’idea della morte nei secoli, dai vari autori, letterati, periodi storici e religioni. Descritta a volte come una coraggiosa ribellione alle leggi di natura o un modo per interrompere coraggiosamente un’inaccettabile dolore fisico; un ricongiungimento a Dio; un momento magico; il passaggio ad altra vita o la fine definitiva della materia. Il buddista crede nella reincarnazione ciclica, nel nulla si crea e nulla si distrugge e la metafora delle onde del mare rende perfettamente il concetto: ogni onda fa parte del mare, quando l’onda “si perde” torna a far parte del “tutto” e alla fine tornerà a infrangersi su qualche altra riva. In un moto perpetuo e ciclico. Bella anche la metafora delle dodici stanze usata dal musicista e compositore torinese Ezio Bosso, nel recente (2015) suo primo album solista intitolato “The 12th room”: “La vita si compone di stanze, in ciascuna lasciamo qualcosa di noi. La dodicesima segna “il passaggio”, solo lì siamo in grado di rivedere com’eravamo nella prima stanza” ed è lì che torneremo, in un valzer ciclico di vita e morte; anche Osho usa una metafora: “Vita e morte non sono due estremi lontani l’uno dall’altro. Sono come due gambe che camminano insieme, ed entrambe ti appartengono. In questo stesso istante stai vivendo e morendo allo stesso tempo. Qualcosa in te muore a ogni istante, ad ogni passo”.
Agli adulti però serve sapere come affrontare l’argomento con i giovani.
Fulvio Scaparro, psicoterapeuta infantile nonché psicologo dell’età evolutiva, in un articolo risponde alla domanda se è giusto o meno parlare ai giovani della morte: “Nella nostra cultura, pur cattolica, se ne parla poco o niente e soprattutto i giovani vengono tenuti lontani dal “problema” come se la morte potesse turbare la loro spensieratezza”. Questo però non fa altro che posticipare il momento in cui dovranno inevitabilmente affrontare l’argomento. Lo psicoterapeuta fa notare il paradosso che “proprio in una cultura cattolica si viva il ‘passaggio’ in modo tragico e drammatico”, dovremmo invece, come fanno altre culture, salutare il passaggio con serenità.
In ogni caso, come dire a un bambino che una persona cara non c’è più?
C’è un paradiso, una reincarnazione, o nulla dopo la morte? Gli esperti suggeriscono frasi del tipo: “Il nonno sarà sempre con noi finché lo ricorderemo”. Ai più piccoli si può raccontare la storiella della stellina nel cielo, ai più grandi si può parlare di ciclo della vita, ma l’importante è evitare di essere evasivi o di posticipare l’argomento, è necessario dare sempre una risposta esaustiva. Evitare anche frasi tipo: –quando sarai grande capirai- oppure –non ci pensare adesso- o ancora –ne parliamo un’altra volta-.
E’ bene evitare di far respirare un’atmosfera tragica, ogni passaggio procura tristezza e la sofferenza non va nascosta ma mostrata con tatto e contegno. Lo stesso, sostiene Scaparro, vale per quanto riguarda farli assistere al funerale, o nel condurli al cimitero. Farli assistere non deve essere un problema ma subito dopo deve passare il messaggio che la vita continua. La visita al cimitero deve essere un modo per mantenere vivo il ricordo della persona venuta a mancare e onorare i defunti è un modo per farli continuare a vivere con noi.
Comunque la vediamo o la vogliamo vedere, parlare francamente è sempre il modo migliore, in ogni situazione, nella vita e per la morte. Perché la verità, anche quella che fa male, è sempre meno dolorosa del sentirsi ingannati da una bugia, sempre meno dolorosa dell’essere ignorati.
La morte fa parte della vita.
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