
foto di erika secondino
DARE IL GIUSTO VALORE ALLE COSE
Quando le cose non vanno, quando muri sembrano ergersi tra genitori e figli, molto spesso dipende dal fatto che noi grandi pretendiamo troppo da loro, le nostre aspettative sono eccessive e non appena le vediamo disattese mostriamo subito la nostra delusione, il nostro malcontento. Noi assumiamo l’atteggiamento dei delusi e dei preoccupati e loro si sentono meno amati e non compresi. A scuola per esempio sarebbe sufficiente che loro andassero con entusiasmo, che tornassero a casa ogni volta con qualcosa in più, qualcosa da raccontare e di cui essere entusiasti e invece spesso pretendiamo che siano i primi della classe o, peggio, li assecondiamo e li facciamo sentire vittime d’insegnanti ingiusti e ci accingiamo ad aiutarli a fare i compiti per ottenere un buon voto e per avvalorare la tesi che l’insegnante esigente si sbaglia sul conto di nostro figlio.
Una riflessione della scrittrice Natalìa Levi Ginzburg(1916–1991), figura di primo piano della letteratura italiana del Novecento, da uno spunto di riflessione su questo argomento: ” La scuola dovrebbe essere fin dal principio, per un ragazzo, la prima battaglia da affrontare da solo, senza di noi. ”
Il messaggio che dovremmo far passare è che le ingiustizie purtroppo fanno parte della vita e spesso non sono neanche da prendere in considerazione, bisogna andare avanti e non dar loro troppa importanza, lasciare che scivolino via, esse non sempre sono reali, spesso i ragazzi si sentono vittime di un’ingiustizia che in realtà tale non è. Un’ingiustizia a scuola può avere così tanto valore? Che cosa importa se un docente ha valutato con un 5 o un 4 un compito che per noi valeva di più? E’ poi così importante la valutazione? Il voto, a mio avviso, andrebbe abolito, invita a paragoni e crea malcontenti. Facciamo comprendere a nostro figlio che il suo valore va oltre un voto per un compito in classe o un’interrogazione.
Scrive anche la Ginzburg:
“Quello che deve starci a cuore, nell’educazione, è che nei nostri figli non venga mai meno l’amore per la vita, né oppresso dalla paura di vivere, ma semplicemente in stato d’attesa, intento a preparare se stesso alla propria vocazione. E che cos’è la vocazione di un essere umano, se non la più alta espressione del suo amore per la vita?”
Se queste riflessioni, com’è successo a me, ti hanno fatto pensare ad altri argomenti che sarebbe interessante trattare, scrivili qui sotto:
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