«Avere o Essere?» – Erich Fromm
Recensione di Giuliana Colucci
Avere o essere? Con questo saggio del 1976, incentrato sulla psicoanalisi radical-umanistica, Fromm ci presenta il suo concetto di perseguimento della felicità. Il piacere può costituire una risposta soddisfacente all’interrogativo circa l’esistenza umana?
Fromm sostiene che i desideri non possano mai essere soddisfatti, in quanto non hanno mai fine, e “avidità e pace si escludono a vicenda”.
Spinoza fu il primo pensatore moderno a formulare il postulato che la salute e la malattia mentale sono il risultato rispettivamente di una maniera giusta o sbagliata di vivere.
Lo psicanalista e sociologo tedesco, dunque, affronta la crisi della società contemporanea e la possibilità di una soluzione delineando due modalità di vita, l’Avere e l’Essere.
La prima è legata alla società del consumo, del possesso. La seconda è una condizione che permette di essere tutt’uno col mondo, una condizione di gioia.
Il poeta inglese Tennyson, in preda a una riflessione intellettualistica sulla possibile funzione di un fiore, lo strappa da un muro e fa le sue considerazioni, uccidendolo.
Il poeta giapponese Bashō, invece, s’imbatte in un bel fiore durante una passeggiata e si limita a guardarlo, per vederlo veramente.
Tennyson ha bisogno di possedere il fiore per comprenderne la natura, ma l’averlo comporta la sua uccisione. Bashō invece aspira a identificarsi col fiore e lo lascia vivere.
Attraverso esempi letterari e di vita quotidiana che trattano fede, amore, piacere, peccato, morte e i più svariati argomenti, Fromm ci introduce alla comprensione della differenza tra le modalità esistenziali dell’avere e dell’essere.
La fede non dev’essere una stampella per chi desidera la certezza, ma un orientamento intimo, una fede in noi stessi, in un altro, nella specie umana. Non avere fede, bensì essere nella fede.
L’amore non esiste, esiste l’atto di amare.
Gli studenti che fanno propria la modalità dell’avere si prefiggono come unica meta quella di registrare nella propria memoria appunti e lezioni, senza creare nulla di nuovo.
Il processo di apprendimento è di tutt’altro tipo per quegli studenti che fanno propria la modalità dell’essere. Anziché imparare passivamente, ricevono e rispondono in maniera attiva, hanno interesse, dal latino inter-esse, “essere tra” o “dentro”, appunto.
Lo psicanalista tedesco individua la causa di alcune strutture della nostra società – come l’egemonia maschile nell’ordine patriarcale – nella modalità dell’avere, da cui la società in crisi deve distanziarsi per essere davvero felice.
Il desiderio di avere proprietà private produce il desiderio di violenza e la propria felicità conseguentemente risiede nella superiorità sugli altri.
Secondo la modalità dell’essere la felicità consiste invece nell’amare, nel condividere, nel dare. Non è forse il godimento condiviso una delle più intense forme di felicità umana?
Fromm cita Freud, Marx e altre autorevoli personalità per accompagnarci in un viaggio fatto di ragionamenti filosofici, economici, religiosi.
Vi è l’esigenza di una trasformazione di carattere etico, non già come conseguenza di credenze morali, ma bensì come conseguenza razionale di un’analisi economica.
L’economia non può, infatti, essere il contenuto dell’esistenza e una crescita all’infinito non è adatta a un mondo finito. Inoltre l’aumento materiale del consumo non comporta necessariamente un aumento di benessere.
Si potrà lasciarsi indietro il mal du siècle e le vecchie motivazioni del profitto e del potere solo a patto di essere, partecipare, comprendere. Allora vedremo la realizzazione di una nuova società e di un uomo nuovo, teso all’Amore.
Questo saggio è una lode a chiunque non sprechi le proprie energie per reprimere la verità ma che le impieghi a “cercare”, cercare se stessi anziché avere e consumare.
Dovremmo essere liberi dalle nostre proprie cose e azioni, non dovremmo essere legati, incatenati a ciò che possediamo.
Il nostro essere è la realtà, lo spirito che ci muove. Se sono ciò che sono e non ciò che ho, nessuno può privarmi della mia sicurezza né del mio senso di identità.
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