L’importante è andare a scuola e magari laurearsi con buoni voti, “così potrai trovare un posto che ti dia uno stipendio sicuro, ottenere un mutuo e comprarti una casa tutta tua e con qualche piccola rata potrai comprare una macchina per andare al lavoro e i mobili per arredare la tua casa”.
Alzi la mano chi non ha mai sentito dire queste cose o se non le ha mai pensate per i propri figli.
Certo, sapere che il proprio figlio sta studiando in funzione del suo futuro, non fa che rendere felice chiunque, è una sorta di ritornello per tenere in salute e al sicuro, almeno per un po’, la propria coscienza di genitore.
In realtà, infatti, stiamo solo temporeggiando nella speranza che qualcosa accada, che tutto vada per il meglio e ci sentiamo “rassicurati” dal rendimento scolastico.
Alzi ora la mano chi ha cercato di capire quale sia il talento del proprio figlio, chi ha passato del tempo a osservarlo, a “interrogarlo”, chi gli ha permesso di guardarsi intorno per cercare e provare cose nuove nel tentativo di capire quali siano le sue attitudini. Quale sia cioè la SUA naturale inclinazione a far bene una determinata attività. Insomma cosa sia meglio per lui, in cosa cioè deve “buttarsi” a capofitto per rendere la propria attività futura la più possibile proficua per se stesso e utile per gli altri. Proficua non solo dal punto di vista finanziario ma che sia rispondente alle sue aspettative, in una parola: soddisfacente. Un’attività soddisfacente renderebbe la sua vita, e quella di chi gli è vicino, felice e fortunata.
In fondo non è questo ciò che vorremmo per i nostri figli? Che facciano un lavoro che sia redditizio e che al contempo sia il loro hobby preferito, insomma che li renda felici, sereni e soddisfatti.
Il filosofo e maestro spirituale indiano, Osho Rajneesh, scrisse che “non c’è una formula per trovare se stessi e la propria inclinazione”, per conoscere quali sono le proprie attitudini, il proprio talento, “bisogna diventare consapevoli, non c’è altro modo”.
Qualunque sia il suo potenziale, la sua capacità, ogni giovane deve essere lasciato consapevolmente libero di realizzarlo, di attuarlo concretamente. La consapevolezza è uno stato interiore, una sensazione viscerale, inizialmente inconscia, che poi diventa conscia e, come fosse una illuminazione, produce idee soggettive, individuali, che ognuno fa con le proprie esperienze, senza condizionamenti.
Osho dice che se anche noi adulti volessimo diventare consapevoli, dovremmo spogliarci, come fossimo una cipolla, dei vari strati di personalità che ci sono stati messi addosso dall’educazione ricevuta, dalla cultura e dalla società. Una cultura che non può essere quella giusta in assoluto, che ci fa accettare alcune cose e negare altre e che magari non ci assomiglia per nulla; una società che ci rende ciechi, che ci dice cosa fare e cosa non fare, che impone regole per la civile convivenza, più grande è il gruppo sociale, più sono le regole di cui si ha bisogno. Sarebbe bello se fossimo davvero liberi da strati di personalità imposta, se il mondo non avesse regole perché tutti più responsabili, ma è un’utopia anche per Osho.
Non “vestiamo” i nostri giovani con strati di personalità che non gli appartengono, lasciamo che vestano la loro individualità, che siano se stessi nella loro splendida singolarità, originalità, interezza. Consapevolmente se stessi.
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