Ciò che chiamano “educazione” non lo è affatto, è esattamente l’opposto.
Osho Rajneesh, filosofo indiano e maestro spirituale (1931 -1990), che presto preferì lasciare il suo lavoro accademico per girare il mondo e tenere discorsi sulla meditazione.
La sua è una vera e propria ribellione a quelli che definisce “falsi valori sociali”, ritenuti validi solo perché comunemente accettati. Dopo la sua morte aumentò la sua fama ma aumentarono anche le critiche a lui rivolte. Il suo anticonformismo ebbe una risonanza clamorosa e molte furono le reazioni controverse.
A noi, ora, interessa solo sapere cosa, il maestro spirituale, intendesse per Educazione.
Egli sostiene che ciò che accade oggi in nome dell’educazione ha perso di vista il vero significato della parola “educare” e, infatti, nel libro “L’ABC del risveglio” scrive:
La parola “educazione” significa “tirar fuori” qualcosa che è all’interno della persona, portare il suo centro alla superficie, portare il suo essere dormiente a manifestarsi, renderlo attivo, dinamico. Questa è educazione. Ciò che invece accade in nome dell’educazione non è certo questo e in nome dell’educazione accade esattamente l’opposto: s’imbottisce la mente d’idee. Non si estrae nulla dal pozzo: le acque del pozzo non vengono raccolte, anzi, dentro il pozzo si buttano pietre. Presto le acque scompariranno e il pozzo sarà pieno di pietre… Un bambino veramente vivo non può stare seduto per lungo tempo. E’ vivo, non è morto, ha voglia di saltare e correre e fare milioni di cose, è straripante. E noi lo costringiamo a stare seduto. E cosa succede? Quando finisce l’università è quasi paralitico. Per vent’anni è stato costretto a concentrarsi continuamente e a quella concentrazione la società dà un’enorme importanza. Ci sono esami e se fallisce viene rimproverato, se ha successo viene apprezzato. Giochiamo il gioco dell’ego: insegniamo un’orribile competitività, a essere nemico di chiunque. Gli insegniamo che l’unico valore di questa società è l’estrema efficienza, non una maggior consapevolezza.
Le nostre scuole, con i loro programmi e i loro orari, non sono organizzate in modo che un insegnante possa entrare in contatto in modo funzionale con ogni singolo allievo, al contrario le classi sono sempre più numerose e il programma “da seguire a tutti i costi”, le riunioni, gli incontri, i collegi, i consigli, i gruppi tematici, gli aggiornamenti, i compiti da correggere e le verifiche, non fanno altro che rubare tempo prezioso alla “lezione”. Così alunni e docenti, alla fine dell’anno scolastico si conoscono appena e, a fine corso di studi, ogni alunno avrà la testa piena di nozioni scolastiche, che saranno probabilmente utili in futuro (in un modo o nell’altro), ma che nulla o pochissimo avranno aggiunto alla crescita personale di ognuno di loro. La valutazione, poi, si riferisce alla capacità di concentrarsi e memorizzare.
In questo modo li “scaraventiamo” nel mondo del lavoro con la testa piena di informazioni ma probabilmente privi di un’ampia visione di se stessi e di quello che è davvero “bene” per loro. E saranno soli, senza una rotta da seguire, senza la indispensabile consapevolezza del proprio talento, soli a ricominciare, costretti a reinventarsi, qualcuno di loro lo farà, qualcuno si proietterà verso il futuro convinto che quello che ha imparato a scuola è sufficiente per andare avanti, qualcun altro si sentirà perso.
E’ davvero così poco che possiamo fare per loro? C’è invece un modo per aiutarli alla consapevolezza di se stessi?
Mi piacerebbe sapere la tua opinione. Scrivila qui sotto.
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